Una bella storia di migrazione l’abbiamo trovata a Bognanco ed a raccontarcela è Senayt. Una splendida ragazza etiope, residente in località Torno, dall’età di sette anni.
Siamo accovacciati sul tappeto davanti al camino di casa e suo figlio Joele, di appena 14 mesi, gironzola allegro appoggiandosi ai mobili del soggiorno. Senayt è serena e sorride quando parte con il suo racconto.
«Io sono arrivata in Italia in aereo e mi ricordo ogni cosa di quel trasferimento e della mia breve vita ad Addis Abeba. Conoscendo tutti i retroscena, ogni volta che vedo in televisione barconi approdare sulle nostre coste, mi vien male. Sono stata adottata da Rosanna e Bruno Aymet e la mia vita è cambiata completamente, in meglio, grazie a loro. In Etiopia sono rimasti tre miei fratelli ed una sorella. Il più piccolo dei miei fratelli, non vedendo altra via di uscita in Africa, vorrebbe imbarcarsi per fuggire via, ma io continuo a dirgli di non farlo. E assurdo!
I trafficanti di questi viaggi sulle carrette del mare , chiedono migliaia di euro per metterti sul barcone. Conosco gente che ha venduto la propria casa e pagato nove mila euro per prendere posto su questi barconi della morte. Volevo invitare i miei fratelli al mio matrimonio, ma non è stato possibile. Ho fatto richiesta per fargli avere un visto turistico per trenta giorni. Ho fatto fidejussioni, ho pagato in anticipo i biglietti per i voli aereo, ho garantito a loro, come richiesto dalla ambasciata, una casa dove soggiornare e soldi a sufficienza per vivere in Italia tutto il periodo del visto. Niente da fare; il permesso non gliel’hanno dato e così, dopo la cerimonia, siamo andati noi in Etiopia. Siamo arrivati all’aeroporto di Addis Abeba e pagato normalmente il visto di ingresso per alcuni giorni al costo di cinquanta euro. Se richiedi il visto per un periodo più lungo di trenta giorni, costa cento euro e puoi stare in Etiopia fino ad un massimo di novanta giorni, rinnovabili. Ecco l’assurdità. Io da italiana posso andare in Etiopia quando voglio, mentre i miei fratelli non possono venire in Italia. E allora chi non si da per vinto scappa».
Ma c’è una soluzione a tutto questo?
«Se rilasciassero i visti regolarmente per venire in Italia, forse ci sarebbero meno imbarchi fuori legge».
Ma poi questa gente ritornerebbe in Etiopia?
«Sì il rischio è questo, che poi nessuno ritorna indietro. Ecco perché bisognerebbe aiutarli là. Bisogna insegnare loro un sistema di vita diverso, costruendo scuole e organizzando corsi di formazione. Bisogna eliminare il grande divario che c’è fra i poveri e i ricchi. Fra chi sta bene e chi vive nella miseria».
Come si trova a vivere in Italia? Un paese diciamo così; “ ricco”.
«A volte mi sento a disagio. Ho sposato un ragazzo albanese, che vive da sempre in Italia e per me è un italiano. Io mi sento assolutamente italiana. Poi mi rendo conto che qualcuno mi fa delle occhiate strane e mugugna quando ad esempio sono in coda in mezzo alla gente. E’ il colore della mia pelle a fare la differenza. L’altro giorno, una pattuglia della polizia, mi ha inseguito e fermata con la mia auto chiedendomi il passaporto. “Sono italiana ho detto a loro.” “E allora mi faccia vedere la carta d’identità”. Il mio cognome, che è quello della famiglia che mi ha adottata, è Aymet. Un nome strano per essere italiano e così i poliziotti non credevano alle mie dichiarazioni. “Mi faccia vedere il libretto della macchina… e chi è questo bambino… dove abita? Che lavoro fa?” Mille domande imbarazzanti e solo perché sono nera. Ma oramai ci sono abituata e sorrido di fronte a queste situazioni. Il mio pensiero va però a chi non riesce a sorridere e soffre per questa differenza.
Sogno di poter aiutare i miei fratelli a vivere meglio in Etiopia per non dover essere costretti a scappare. E l’aiuto migliore e concreto, non è certo donare loro un pesce da mangiare, bensì dare una canna da pesca per imparare a pescare».
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO