Con l’esplosione nella centrale nucleare di Cernobyl, sono stati i pompieri a pagare per primi il conto, con i loro decessi a causa delle radiazioni subite dopo i primi tempestivi interventi nel tentativo di spegnere l’incendio. Con il Coronavirus, il conto, dopo gli anziani, lo stanno pagando principalmente i medici e gli infermieri, impegnati ad assistere i pazienti contagiati dal virus.
Un pomeriggio della scorsa settimana, usciva dal parcheggio dell’ospedale di Domodossola, una macchina bianca. Mi son trovato rincasando a seguirla, perché mi precedeva sulla mia stessa strada ed ha imboccato la valle Bognanco.
Ho riconosciuto l’infermiera Danila Guida che, terminato il suo turno di lavoro, se ne ritornava a casa. Ho incrociato il suo sguardo nello specchietto retrovisore e ci siamo scambiati un saluto con la mano. Prima di scendere dalle vetture, ci siamo affiancati e con i finestrini abbassati, ci siamo scambiati due parole. Come sta? Le ho chiesto.
«Bene, ma la sensazione che più mi assale, è la paura. Paura di affrontare una cosa che ancora non sappiamo dove ci porterà. L’unica sicurezza è la nostra professionalità».
Le avevo fatto una domanda semplice, ma la sua risposta è una valanga… e prosegue…
« Ci troviamo di fronte a dei malati che non possiamo aiutare a livello umano. Non possiamo parlare con loro, non possiamo stringere loro le mani. Vediamo le loro disperate richieste di aiuto attraverso i loro occhi. Tentiamo di aiutarli con i nostri sorrisi coperti dalle mascherine e quando esco dalla stanza, mi sento sulle spalle tutta la sofferenza dei pazienti. In quarant’anni di servizio, non ho mai provato una cosa così. Soffro a vedere pazienti anche giovani, lontani dai loro cari. E’ la solitudine nella malattia. Se va male, non si restituisce nulla. Ai familiari, arriva solo una telefonata. E’ sconvolgente, ma è così. Non si può fare altrimenti. Fra medici ed infermieri, siamo davvero pochi. Facciamo le nostre ore di lavoro, ma quando serve prolunghiamo il servizio. Siamo una bella squadra e siamo tutti disponibili a fare tutto ciò che si rende necessario».
Ho notato che salendo la valle, andava pianino… a cosa pensava?
«Mi tornava in mente a quello che ho fatto durante la giornata. Ho rivisto le varie fasi lavorative, se sono stata cauta, se per caso non ho sbagliato qualcosa… Abbiamo un protocollo che non è complicato, dobbiamo solo seguire uno schema ed alla sera, quando arrivo a casa, cerco di stare lontana dai miei cari. Mi siedo al tavolo nel posto più lontano e continuo a tenere comportamenti finalizzati ad evitare contagi, anche in famiglia».
Finirà tutto questo?
«E’ fisiologico che ci sarà un rallentamento dei contagi e questa situazione, cambierà notevolmente la nostra vita, ma il problema resterà. Capiremo più avanti se la gente avrà capito il comportamento che si dovrà tenere per fronteggiare nuovi possibili contagi».
Ci salutiamo e Danila riaccende l’auto e sta ingranando la prima quando le chiedo un ultima cosa… Mi scusi, ma perché le donne sono meno colpite dal virus rispetto agli uomini?
Sorride… e da donna forte, sicura e che non ha perso il senso dell’ironia, mi liquida…« E’ una questione di ormoni, caro Giancarlo». E con una accelerata se ne va via.
Come spesso succede, certe risposte mi lasciano lì, un po’ così… sospeso, nell’aria. Fragile e perplesso.
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO