E’ cresciuto in valle Bognanco, dove ha vissuto le sue prime esperienze e le prime avventure sulle montagne di casa. Aveva 10 anni, quando, per vincere la paura del buio, decise di andare su all’Alpe San Bernardo da solo in tenda. E lo stesso sistema lo utilizzò per sua figlia Francesca, quando in un villaggio turistico, una sera, la portò a fare una passeggiata nel bosco di notte e gli disse: adesso stai qui ad aspettarmi. Io verrò a prenderti fra venti minuti. Aveva dodici anni Francesca, ma Ambrogio, non contento della già difficile situazione creatale, pensò bene in quei venti minuti, di farle degli agguati. Usciva dal bosco e…Bhuùùù!!! La spaventava…lei scappava e lui la seguiva… e la agguantava. Trascorso il tempo se ne ritornavano al villaggio. Per Francesca quelle uscite notturne erano un incubo, ma in seguito, affrontare il buio le risultò meno difficile.
Montagne, montagne, montagne, ma poi Ambrogio scopre anche la passione per il mare e per la vela…
Nel 1974, compra una barca da un armatore a Castiglione della Pescaia e nasce il Surprise con il quale fa il giro del mondo. Quando parte dal porto, c’è poca gente a salutarlo, ma al suo ritorno, ci sono oltre diecimila persone che lo aspettano. E’ un trionfo, che lui rovina un po’ quando sul suo libro “400 giorni intorno al mondo”, copia 26 pagine dal libro di John Guzzwell sul passaggio di Capo Horn. Lo fa ingenuamente, perché in quel periodo è molto impegnato a raccontare nelle scuole la sua avventura e quindi, pressato dalla casa editrice che vuole stampare il libro, chiede alla sua segretaria di copiare quelle pagine perché scritte molto bene e si raccomanda di citare da dove sono state copiate… La segretaria in tutta fretta, perché la casa editrice continua a spingere per andare in stampa, copia tutte le pagine, come le è stato detto, senza però riportare da dove sono state prese e così viene fuori la storia del plagio.
Nel 1978, Ambrogio parte con la barca a vela per il Mar della Plata in Argentina con l’amico e giornalista Mauro Mancini. La meta è circumnavigare l’Antartide. Durante quel viaggio, un branco di orche colpiscono il Surprise e la barca affonda. I due rimangono alla deriva al largo delle isole Falkland, sopra ad una zattera del diametro di circa un metro per settantaquattro giorni e sopravvivono solo nutrendosi di quel poco zucchero ed un pezzo di pancetta che miracolosamente erano riusciti a recuperare poco prima di veder sprofondare la loro imbarcazione. Quando hanno finito ogni cosa, la provvidenza gli regala due cormorani curiosi che svolazzano vicino a loro e miracolosamente riescono ad abbatterli con un remo e con quel ben di Dio, vanno avanti per una buona settimana. Ogni mattina, con metodo quasi maniacale, raccolgono un bicchierone di rugiada dal fondo della zattera e se lo fan bastare per tutto il giorno. Poi arriva un altro miracolo; da sotto la zattera scoprono che si sono attaccati dei molluschi e mangiano anche quelli. Intanto, i giorni passano, le forze vengono meno e la speranza di sopravvivere si affievolisce e quando ormai sembra finita, un mercantile, battente bandiera greca, vede quella piccola zattera galleggiare con a bordo i due uomini che vengono soccorsi e rifocillati. Purtroppo Mancini, reso debole dal prolungato digiuno e dalla lunga permanenza sulla zattera, muore dopo pochi giorni, a causa di una infezione polmonare, mentre Ambrogio, più giovane e più forte, si salva.
Ambrogio giura che non avrebbe mai più portato qualcuno con sé nelle sue missioni ed infatti, quando nel 1983 decide di raggiungere a piedi il Polo Nord, ci va da solo con un cane che diverrà famoso in tutto i mondo; Armaduk. E’ stato il suo fedele compagno di viaggio, ma non gli è servito per superare la paura degli orsi e del ghiaccio che si rompeva in continuazione. Non è stato facile vivere quei giorni a meno cinquanta gradi da solo, con un cane una tenda ed una slitta. Ambrogio racconta nel suo libro Verso il Polo con Armaduk le difficoltà riscontrate nel camminare sopra il pack che ha lo stesso colore del cielo, tanto da sembrare che stai camminando capovolto, nel vuoto. Non vedere ombre né altre cose al di fuori del bianco e scoprire che hai camminato per trenta chilometri, nella giusta direzione verso il Polo Nord, ma ti ritrovi più indietro rispetto al giorno precedente, perché sei alla deriva; la placca di ghiaccio era diventata una grande isola che galleggiava per conto suo. La missione di arrivare al Polo Nord, fallisce e Ambrogio, decide di farsi venire a prendere con un aereo e nel viaggio di rientro al campo base, chiede di sorvolare il punto dove avrebbe dovuto arrivare. Ci arriva e lo guarda dall’alto. Non era poi così lontano, ma ammette che il suo progetto non è andato a buon fine. I giornali in ogni modo lo massacrano e titolano in prima pagina: Fogar al Polo Nord con la slitta, un cane e l’aereo…
Ambrogio supera ogni polemica e dopo l’esperienza dei ghiacci, inizia una nuova carriera; quella televisiva, inventando il programma Jonathan dimensione avventura che riscuote un enorme successo.
Eppoi arriva il mese di settembre 1992 e Ambrogio parte per il rally Parigi –Mosca- Pechino. Alla televisione, Enrico Mentana una sera dà la notizia di un incidente avvenuto nel tardo pomeriggio del 12 settembre nel deserto del Turkmenistan, quando la Range Rover guidata da Giacomo Vismara urta una pietra, la macchina s’impenna e si rovescia all’indietro. Ambrogio viene sbalzato fuori dall’abitacolo, piomba con la schiena a terra e resta paralizzato, mentre il pilota si salva. La fortuna e la sfortuna. I medici di una clinica in Svizzera, dopo averlo visitato sentenziano senza tanti giri di parole: signor Fogar, lei non si rialzerà mai più da questo letto! «Dopo questa tremenda notizia - dice la figlia Francesca - sono entrata nella sua stanza e ci siamo guardati per mezz’ora, senza dire una parola».
I medici hanno detto ad Ambrogio che potrà sopravvivere per cinque, forse sette, anni, ma lui resiste molto di più e dopo i primi momenti di sconforto e delusione per non aver trovato nulla che possa cambiare le sue sorti, dopo aver pensato seriamente di farla finita, dopo aver deciso di suicidarsi, anzi, siccome non lo avrebbe mai potuto fare, visto la sua immobilità, dopo aver deciso di chiedere a qualcuno di aiutarlo a morire, gira il mondo per dire, spiegare, urlare che la vita è una sola e va vissuta fino in fondo.
Al tredicesimo anno di immobilità, arriva la notizia che in Cina, un professorone, potrebbe essere in grado di fare un intervento, con nuove cellule staminali embrionali e –forse- rimettere in piedi Ambrogio. Le probabilità di successo sono minime, ma Ambrogio vuole assolutamente provarci.
Francesca nei primi giorni di agosto del 2005 va in Cina e parla con il dott. Huang e quando ritorna in Italia con la buona notizia che l’intervento si può fare già nel mese di ottobre di quello stesso anno, raggiunge suo padre in valle Bognanco dove solitamente trascorre ogni anno il suo breve periodo di vacanza nello chalet di montagna e lo informa della buona notizia. Ambrogio non sta più nella pelle dalla contentezza e vuole subito ritornare a Milano per fare gli esami che mancano prima di andare in Cina e così. Francesca ricorda che Ambrogio era di ottimo umore durante il viaggio e chiese di ascoltare la canzone di Vecchioni: Luci a San Siro. Ambrogio canta felice, cosa che non aveva mai fatto dal giorno dell’incidente. Il 24 agosto 2005, Francesca saluta il papà verso le 18 di sera e poi lui si addormenta contento.
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO