Per molti il Giorno della Memoria inizia e finisce il 27 gennaio, per la senatrice a vita Liliana Segre «di tutto quel che è successo, tra un po’ ci sarà una riga su un libro di storia e poi non ci sarà più neanche quella». Per il giovane don Davide, la memoria del nonno Mario Bussoni, (18.07.1914 - 20.08.1997), soldato nel Battaglione Intra che, venerdì scorso, presso il salone delle conferenze della prefettura di Verbania, ha ricevuto la medaglia d’onore, accompagnata dal Decreto del Presidente della Repubblica del 21 ottobre 2022, non finirà mai.
«Al nonno – dice Don Davide - non piaceva raccontare le vicende dei suoi lunghi anni vissuti al fronte, fra trincee e campi di concentramento e quando capitava di leggere o vedere in tv scene di guerra, preferiva cambiare canale e discorso, come se provasse vergogna e nausea per quanto aveva dovuto subire.
Così, per saperne di più, sono andato a cercare materiale che riguardasse il periodo bellico e scoperto nel foglio matricolare 32915, che Mario Bussoni nato a Picciola di Bognanco nel 1914, iniziò il servizio di leva nell’agosto del 1934 e venne chiamato alle armi il 4 aprile 1935 come soldato scelto nel battaglione alpini Intra….».
Sì, dai documenti ritrovati, risulta che Mario, il 5 gennaio 1936, viene imbarcato a Livorno su una nave diretta a Massaua in Eritrea, dove giunge il 15 gennaio e vi rimane combattendo in Africa Orientale fino al 4 aprile 1937 e poi, con un susseguirsi di congedi e chiamate alle armi, viene definitivamente richiamato nel gennaio 1941 sul fronte Italo Jugoslavo.
Ma quale programma di vita, poteva sognare un giovane che stava subendo questo massacrante servizio alla Patria?
Il 9 settembre 1943, Mario venne catturato dai tedeschi ed internato in un primo campo di concentramento in Germania, dove durante uno dei tanti bombardamenti notturni, insieme ad altri, la notte del 21 marzo 1945, riuscì a fuggire.
Attraversarono zone abitate, danneggiate dai bombardamenti. Sentirono le urla di una donna dentro una casa in fiamme che supplicava aiuto e si fermarono a salvarla. Passarono i giorni e la fame, cominciò a farsi sentire e quando videro seppellire un maiale in aperta campagna, probabilmente perché colpito da qualche strana malattia, non esitarono ad estrarre la bestia morta dalla terra per sfamarsi. Poi fortunatamente vennero ospitati per qualche giorno da famiglie di contadini e recuperarono forze, fino a quando i tedeschi, nuovamente li catturarono e li condussero in un secondo campo di concentramento dove vennero obbligati ad estrarre dal terreno le bombe inesplose.
Anche da questo lager, Mario e compagni si salvarono e riuscirono ancora una volta a scappare durante un ennesimo bombardamento e questa volta non sbagliarono direzione. Camminarono verso il confine con l’Italia, oltrepassarono il Brennero e giunsero a Bolzano, dove chiesero vitto e alloggio, in cambio del loro lavoro, presso una centrale idroelettrica fino a che trovarono un passaggio di avvicinamento verso casa a bordo di autocarri delle forze alleate.
Quando Mario arrivò a Bognanco, era il mese di maggio 1945. Dieci anni dopo la sua prima chiamata alle armi e davanti alla sua abitazione di Picciola, si fermò e bussò la sgangherata porta d’entrata. Ad aprire si affacciò sua madre Maria, la quale, al vedere questa persona, sudicia e magra da far ribrezzo, non riconobbe il figlio Mario e si rivolse allo sconosciuto con un: «Buongiorno!».
Poi, gli occhi non tradirono e scoppiò un pianto.
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO