«L’incendio sopra Monteossolano si potrà chiudere definitivamente solo dopo una pioggia provvidenziale». A dirlo è Salvatore Attinà, meglio conosciuto semplicemente come Turi, coordinatore alpini di Domodossola ed intervenuto a supporto degli AIB e Vigili del Fuoco, chiamati a spegnere l’incendio divampato venerdì 10 febbraio a causa di una clamorosa sbadataggine di uno svizzero proprietario di una baita sopra l’abitato di Monteossolano. Il fuoco si è propagato velocemente, insidiando pericolosamente le baite di Reso, Spino e Patei. «Fortunatamente – ha detto Turi – la pista agrosilvopastorale che arriva all’alpe Reso, si è comportata come un vero tagliafuoco ed è stata provvidenziale per lo spegnimento delle fiamme».
Eh già, i famosi “tagliafuochi”… ricavati tagliando gli arbusti e le piante ai margini dei sentieri, per una larghezza di alcuni metri, nessuno più li mantiene e sono scomparsi.
«Oggi, i tagliafuoco di una volta, che proteggevano i paesi, sono le strade e le piste che rendono accessibili gli alpeggi ed il bosco, a causa dell’abbandono della montagna, è cresciuto ed avvicinato talmente tanto alle case, da costituire un vero pericolo nei casi di incendio».
Come ci si difende oggi da un incendio come questo?
«Sono ovviamente determinanti gli elicotteri ed i canadair – spiega Turi - anche se è sempre importante la presenza degli operatori a terra. Domenica scorsa eravamo un centinaio, ognuno con un proprio ruolo e molto efficaci sono stati i soffiatori – conclude Attinà – con i quali abbiamo pulito dal fogliame le aree vicino alle case di Pregliasca, evitando un maggiore disastro».
Al comando dei Vigili del Fuoco di Domodossola, il capo reparto – che preferisce rimanere nell’anonimato – ribadisce «l’importanza dell’informazione con ogni mezzo a spiegare alla gente che non si possono accendere fuochi quando il terreno è secco e sono importanti le predisposizioni distribuite sul territorio per facilitare l’intervento dei mezzi antincendio; dalle strade e piste di accesso, alla rete idrica di emergenza per il riempimento delle vasche, dove gli elicotteri possano prelevare in pochi minuti, il quantitativo d’acqua secondo il fabbisogno».
Non è la prima volta che brucia questa montagna, scarsa di acqua. Nei primi anni sessanta, un incendio dalle simili proporzioni e che durò a lungo, bruciò i boschi sopra Cisore. Allora non c’erano né elicotteri, né canadair; solo molti uomini sul terreno.
Abbiamo incontrato Costantino Vescio che ricorda molto bene quei fatti.
«Anch’io venni coinvolto nello spegnimento del fuoco – dice Costantino conosciuto da tutti come Tino - ero un ragazzino ed il mio compito era portare l’acqua a spalla. L’incendio durò diciassette giorni, mi ricordo molto bene perché mi pagarono per ogni giorno di lavoro ed anche allora, il tagliafuoco sopra Cisore, a quei tempi ben mantenuto, fu determinante per mantenere il fuoco lontano dalle case».
Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO