Fra le cose che ogni anno, prima di Natale si faceva, c’era l’invio degli auguri al lungo elenco dei parenti e amici. Dopo cena, si sgomberava la tavola e mentre mia mamma lavava i piatti, iniziavo, con mia sorella più grande, a scegliere quale cartolina fosse più indicata per la zia Marina in Svizzera, piuttosto che gli zii del centro Italia o gli amici in giro per mezza Europa. «Cosa scriviamo allo zio Giuseppe»?

«Cominciate a scegliere la cartolina – ci diceva mamma - e poi scrivete l’indirizzo…».

Nome e cognome, in alto, poi la via ed il numero civico. Sulla terza riga d’obbligo riportare la novità di quei tempi; il numero del codice di avviamento postale. Lo si scriveva a sinistra, seguito dal nome della città, facendo attenzione a centrare bene lo spazio a disposizione. In ultimo sotto a tutto, la provincia ed era sempre una discussione. «Metto solo la sigla o scrivo tutta la parola»? Con la sigla i miei avevano sempre una certa difficoltà ad indovinarla ed allora, quando c’erano dubbi, l’ordine era sempre quello di scriverla per intero. Mio padre seguiva tutto ‘sto lavoro seduto a tavola e un po’ distratto con il suo bicchiere di vino che non mollava mai. «Fate attenzione a non sporcare le cartoline, metti dei giornali sotto, tenete lontano il vino» Erano le raccomandazioni della mamma.

Abbinato le cartoline con gli indirizzi, rimaneva sempre la difficoltà maggiore che era quella di scrivere gli auguri veri e propri.

«Allora per lo zio Giuseppe, va bene se scrivo: Tanti Auguri di Buon Natale»?

«Meglio se metti: Auguri di Buon Natale e anche Felice Anno Nuovo»!

«Eh, ma così l’ho abbiamo già scritto per la zia Marina…»

«Vabbè che vi frega – si intrometteva papà- lo zio Giuseppe è a Campobasso e la zia Marina abita in Svizzera; mica lo vengono a sapere…».

«E se metto solo: Auguri di Buone Feste»?

«Ma sì, va bene anche così». Sospirava la mamma.

Per gli amici svizzeri di Sciaffusa, che avevano ospitato papà durante la guerra, si doveva scrivere qualcosa di speciale; erano persone importanti e care…

Scelto, con non poche difficoltà, la cartolina e scritto l’indirizzo rimanevo lì ad aspettare che papà si decidesse cosa dovevo scrivere… e dopo aver dato l’ultima golata di vino sentenziava con il dito indice puntato sulla cartolina: A Jakob scrivete: «Tanti Auguri di un Buon Natale, pieno di bontà e Buon fine anno, con un miglior principio dell’anno nuovo»! Per l’amico Jakob che gli aveva salvato la vita, papà voleva sempre esagerare con le parole ed era ‘na roba lunga che a fatica riuscivo a farcela stare nello spazio a poi dovevo fare molta attenzione alle lettere maiuscole, agli accenti ed all’apostrofo. Per andare dritto, facevo prima le righe a matita e poi partivo a scrivere con il pennino e l’inchiostro, facendo attenzione a non sporcare. Le righe poi venivano cancellate, ma dovevo aspettare che l’inchiostro fosse ben asciutto. La soluzione era di sventolare la cartolina, per qualche minuto sopra alla stufa ed era compito di mia sorella. Insomma. Era un gran lavoro ed aspettavamo con gioia ed emozione le cartoline degli auguri che ci mandavano.

Alle persone più care, si rispondeva a volte con una cartolina di ringraziamento per aver ricevuto gli auguri ed il Natale durava diverse settimane. Giusto il tempo per non sconfinare negli auguri di Buona Pasqua.

Giancarlo Castellano, collaboratore di ECO RISVEGLIO 

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